La guerra bianca in Adamello

Nel corso del Primo conflitto mondiale, l'estremità occidentale del fronte italo-austriaco attraversava nel bel mezzo due imponenti gruppi montuosi: Ortles-Cevedale e Adamello-Presanella, per cui le due parti in lotta furono costrette a combattere - per oltre tre anni e mezzo - una guerra tipicamente alpina, su posizioni di roccia e ghiaccio ad oltre 3.000 metri di quota, in condizioni ambientali e climatiche difficilissime.

La strategia degli austriaci

Il nostro Comando Supremo, pur non avendo in programma azioni offensive su vasta scala in questi due settori (Valtellina e Valcamonica), aveva previsto la possibilità di far svolgere ai reparti della 5^ divisione (alpina) delle piccole e rapide azioni di rettifica sulla linea di confine, in modo da impadronirsi di posizioni dominanti, sulle quali si poteva resistere con minor dispendio di forze ad eventuali pressioni del nemico. Ma gli austriaci - nei primissimi giorni di guerra - s'impadronirono del Monte Scorluzzo e dei Monticelli che dominano, rispettivamente, il Passo dello Stelvio e quello del Tonale: due spine nel nostro fianco che tenemmo sino alla conclusione del conflitto. Per quanto riguarda l'Adamello è interessante notare come tutte le azioni, svoltesi nei diversi anni, tendevano sostanzialmente a scardinare (direttamente o indirettamente) il caposaldo dei Monticelli, in modo da poter aver via libera sul Tonale. Le difese austriache del Passo erano state rafforzate al massimo soprattutto con la costruzione di alcune imponenti fortificazioni su entrambi i lati della valle.
I nostri avversari avevano inoltre disposto trinceramenti e scavato caverne un po' dovunque, lungo la linea del fronte che collegava i Monticelli alle alture del Tonale orientale. Inoltre avevano occupato anche i Passi Paradiso, Castellaccio e Lagoscuro che dominavano la conca di Ponte di Legno. Anche l'acrocoro ghiacciato dell'Adamello era completamente sguarnito di truppe da entrambe le parti, in quanto nessuno allora poteva immaginare che si sarebbe combattuto su tali asperrime posizioni. Soltanto al rifugio Garibaldi, situato alla testata della Val d'Avio, c'era un piccolo presidio di alpini del battaglione «Morbegno» che vigilava sulla cosiddetta «Linea dei Passi» (Brizio-Venerocolo-Pisgana), mentre sul versante opposto, al Rifugio Mandrone, c'era un raggruppamento di soldati austriaci che svolgeva analogo servizio di sorveglianza. 

L'attacco nella conca di Presena

Il nostro Comando locale, per cercare di rimediare in qualche modo alla nostra inferiorità tattica sul Tonale, progettò un attacco aggirante contro le posizioni austriache nella conca di Presena, nell'intento di sloggiare gli austriaci da tale zona e riprendere così il controllo dei Monticelli e della sottostante piana del Tonale.
L'attacco che ebbe luogo il 9 giugno 1915 dimostrò l'impreparazione dei nostri strateghi. L'incarico era stato affidato al battaglione alpini "Morbegno" l'unico che, in quel periodo, fosse disponibile al completo in alta valle. S'improvvisò un piano d'attacco senza neppure prendere accordi con le artiglierie, il cui appoggio venne ritenuto inutile in quanto l'azione doveva essere eseguita di sorpresa. Questa però era molto illusoria poiché il battaglione fu costretto a compiere un lungo giro in vista degli osservatori austriaci del Castellaccio e del Lagoscuro, per salire - con lunga e faticosa marcia - la Val Narcanello, il ghiacciaio del Pisgana e la parte alta della Conca del Mandrone: una vera ascensione alpinistica in piena regola, con oltre 1800 metri di dislivello.
Così, quando gli alpini si presentarono all'imboccatura del Passo Maroccaro, nell'intento di prendere alle spalle le posizioni austriache di Conca Presena e di Passo Paradiso, incocciarono in una accanita resistenza da parte di queste truppe, le quali non soltanto tennero validamente testa agli attaccanti ma, con l'appoggio delle artigliere del forte Saccarana di Vermiglio, li costrinsero a ritirarsi. 

Le nostre perdite furono assai gravi: 52 caduti fra cui 4 ufficiali, e 87 feriti di cui 3 ufficiali. Nei mesi seguenti vi furono altri tentativi di riconquista dei Monticelli ma senza alcun esito. 

Il battaglione "Edolo" e la conquista del 25 agosto 1915

Nel corso di una di queste azioni, il 25 agosto 1915, si svolse in modo assai brillante, da parte del battaglione "Edolo" l'occupazione di sorpresa della costiera rocciosa che va dalla Punta Castellaccio (m. 3028) a quella di Lagoscuro (m. 3160) e della Cima Payer (m. 3056). Gli alpini si arrampicarono su per gli impervi canaIoni, dove neppure i più abili alpinisti del tempo si erano mai avventurati, e riuscirono in breve ad avere ragione della resistenza nemica.
Da queste posizioni gli italiani potevano dominare la Conca Presena e tentare di ristabilire, seppure in ritardo, una situazione per loro abbastanza compromessa. 

Il battaglione autonomo "Garibaldi" e le offensive italiane

Sino a quel momento i combattimenti erano stati abbastanza marginali e circoscritti in direzione del Tonale, ma il 15 luglio 1915 si ebbe un improvviso attacco austriaco, attraverso la vedretta del Mandrone, in direzione del Rifugio Garibaldi, che aprì una nuova ed imprevedibile fase di lotta sul ghiacciaio. La pronta reazione dei nostri alpini di guardia alla «Linea dei Passi» ed il deciso intervento di un reparto agli ordini del sottotenente Luigi Pedrinelli Carrara, costrinsero la colonna avversaria a rientrare alla propria base al Rifugio Mandrone.
Questo episodio, pur non pericoloso in se stesso, mise in luce l'intrinseca fragilità della nostra linea difensiva, che poteva facilmente essere aggirata da un'incursione austriaca attraverso i ghiacciai, con la possibilità di scendere per la Val d'Avio sul fondo della Valcamonica, alle spalle del nostro già precario sbarramento del Tonale. 

Il nostro Comando rafforzò allora il presidio del Rifugio Garibaldi con una compagnia di alpini, che andò man mano ingrossandosi sino a formare - nella primavera dell'anno seguente - un battaglione autonomo di sciatori che cominciò a scorrazzare in lungo e in largo sui ghiacciai, nell'intento di effettuare un aggiramento, a più vasto raggio, del complesso fortificato Presena-Monticelli. Gli austriaci, allarmati dalla persistente aggressività dei nostri alpini sciatori, costituirono una linea di difesa lungo la dorsale rocciosa Monte Fumo - Dosson di Genova - Cresta Croce - Lobbia Alta, che venne attaccata con completo successo il 12 aprile 1916 dalla compagnia del Rifugio Garibaldi agli ordini del capitano Nino Calvi

A questo punto le operazioni subirono una sosta di due settimane, durante le quali gli alpini consolidarono le loro posizioni e si apprestarono - con maggiori forze e mezzi - ad attaccare la successiva dorsale montuosa: Punta dell'Orco - Crozzon di Folgorida - Crozzon di Lares e Passo di Cavento. Il comando delle operazioni, nel frattempo, era stato assunto direttamente dal colonnello Carlo Giordana, il quale fece intervenire nella lotta, oltre al battaglione autonomo «Garibaldi», i battaglioni «Valle d'Intelvi» ed «Aosta» nonché diverse eterogenee batterie d'artiglieria da montagna, tra cui un pezzo di medio calibro da 149/G, in postazione al Passo Venerocolo.
Il 29 aprile ebbe inizio la seconda fase della nostra offensiva che portò gli alpini ad aggredire la ben più munita linea di resistenza austriaca sul bordo orientale del ghiacciaio. In alcuni punti, specialmente ai lati (Crozzon di Folgorida - Crozzon di Lares - Passo di Cavento) gli obiettivi furono raggiunti e consolidati, ma al centro dello schieramento, nei punti maggiormente difesi (Passi di Topette e Folgorida), gli austriaci si difesero strenuamente e respinsero ogni nostro attacco.
La battaglia divenne in breve una tragica e inutile carneficina per i nostri reparti sciatori in tuta mimetica e per le due compagnie del battaglione "Val d'Intelvi" che furono inviate di rinforzo e lanciate all'assalto, in divisa grigioverde, sull'immacolato candore del ghiacciaio. La situazione venne infine sbloccata in modo del tutto imprevedibile, il 10 maggio, con un'azione a sorpresa di alcuni ardimentosi alpini, i quali - trasgredendo agli ordini ricevuti - assalirono per vie traverse una posizione arretrata del nemico, sul cosiddetto «Crozzon del Diavolo», riuscendo ad eliminare ogni resistenza quasi senza colpo ferire. Gli alpini riuscirono ad attestarsi saldamente alle spalle di quelle posizioni che avevano visto, nei giorni precedenti, un così grave ed assurdo sacrificio di uomini, e costrinsero i difensori austriaci a un rapido ed inarrestabile ripiegamento.

La Strafexspedition sull'Altipiano d'Asiago e l'inverno

Le nostre truppe dilagarono in Conca Mandrone e in fondo alla Val di Genova, giungendo sin quasi alle porte di Carisolo, all'imbocco della Val Rendena; ma sul più bello la loro avanzata venne interrotta dall'improvvisa offensiva austriaca (Strafexpedition) sull'Altipiano d'Asiago, per fronteggiare la quale il settore dell'Adamello venne sguarnito di forze. Con l'approssimarsi dell'inverno anche le rimanenti truppe rimaste sulle posizioni avanzate della Val di Genova furono ritirate, pur senza abbandonare le basi sul ghiacciaio. Qui i combattenti dell'Adamello trovarono un altro nemico implacabile: il solo vivere a quelle quote costituiva infatti di per sé un grosso problema. L'inverno durava otto mesi ininterrotti, con nevicate abbondanti da ottobre a maggio ed altezze medie della neve dai 10 ai 12 metri. Il freddo nemico quotidiano e implacabile, oscillava mediamente in questo periodo dai -10° ai -15° con punte notturne da -20° a -25° ed anche oltre

In questo «inferno bianco» alpini italiani e Kaiserschútzen austriaci ed altri soldati imperiali, oltre a combattersi fra loro, dovevano anche tenere testa agli elementi scatenati della natura, fra cui le implacabili e micidiali valanghe che, in proporzione, causarono più vittime che non gli effetti dei veri e propri combattimenti

Gli anni 1917-1918

Il 1917 fu un anno di relativa calma sul fronte dell'Adamello, ad eccezione del periodo in cui si svolsero le operazioni che portarono gli alpini alla conquista del Corno di Cavento (m. 3402), l'importante caposaldo avanzato austriaco che costituiva una seria minaccia per l'ala destra del nostro schieramento.
L'azione ebbe inizio nelle primissime ore del 15 giugno e si svolse con cronometrica regolarità: la vetta della montagna, sistemata a fortilizio, venne tenuta per più ore sotto un martellante bombardamento da parte di un imponente complesso di artiglierie d'ogni calibro, mortai e bombarde, in modo che i difensori non ebbero neppure il tempo e il modo di alzare la testa dai loro rifugi. L'attacco venne effettuato dal battaglione «Val Baltea» suddiviso in diversi gruppi d'assalto che si arrampicarono lungo la cresta nord e il ripido versante ovest della montagna, mentre dal lato della vedretta di Lares si mossero in formazione sparsa due battaglioni di alpini sciatori che attrassero l'attenzione e il fuoco del nemico, assalendo una linea di 20 ridottini scavati nel ghiacciaio e collegati da gallerie con la parete est del Corno di Cavento.
Verso le ore 13, dopo tre ore e mezzo di combattimento gli alpini del «Val Baltea» occupavano le posizioni della vetta, mentre i Kaiserjáger superstiti del presidio si salvavano con la fuga in direzione delle retrostanti linee fortificate del Folletto e del Carè Alto. 

Da queste posizioni, esattamente un anno dopo, reparti d'assalto austriaci ripartirono alla riconquista del Corno di Cavento, che effettuarono mediante lo scavo di una galleria nel ghiacciaio e un violento assalto contro la compagnia alpina che difendeva l'avamposto sulla vetta e il «trincerone» sul lato del ghiacciaio. Ma gli alpini non si diedero per vinti, e lo stesso battaglione «Val Baltea», già protagonista della prima conquista, ne rientrava in possesso dopo circa un mese, con le stesse modalità operative della precedente azione. 

Il 1918 fu un anno di prove durissime e di combattimenti sanguinosi per le truppe dell'Adamello: in maggio venne finalmente portato a termine un attacco combinato in direzione della Conca di Presena e dei Monticelli per rafforzare le nostre linee sul Passo del Tonale. In un primo tempo fu condotto l'attacco contro il Passo Maroccaro e le Cime di Presena e Zigolon, cui fecero seguito azioni concentriche contro alcune ridottine in Conca Presena, tra cui la famosa «Sgualdrina», e l'assalto al Passo Paradiso e alla cresta dei Monticelli.
In questa azione, la più impegnativa e complessa di tutta la «guerra bianca», vennero impegnati i battaglioni «Monte Mandrone», «Monte Cavento», «Edolo», «Pallanza», «Monte Grancro», «Monte Rosa», «Tolmezzo», «Val Brenta», e il III reparto d'assalto "Fiamme Verdi", nonché plotoni di arditi, compagnie di mitraglieri e bombardieri, batterie d'artiglieria d'ogni calibro, reparti del genio e servizi d'ogni genere. Dopo accaniti combattimenti, il successo arrise alle truppe italiane, anche se non riuscirono del tutto a scacciare gli austriaci dalle ultime propaggini dei Monticelli. 

A metà giugno il Passo del Tonale divenne l'obiettivo di una grande offensiva austriaca, in concomitanza con analogo tentativo di sfondamento delle linee sul Piave. L'imponente attacco in forze mirava al raggiungimento di obiettivi strategici e risolutivi, costringendo a tenere divise le forze italiane su più linee di difesa. Sul Tonale la lotta infuriò durissima per circa due giorni, dopo i quali gli attaccanti desistettero da ogni ulteriore tentativo. L'offensiva che era stata denominata «Valanga», non riuscì a travolgere gli alpini, i quali tennero fede all'antico motto del Corpo: «Di qui non si passa!».
In agosto si svolsero ulteriori azioni per conquistare le posizioni del Menecigolo, delle Marocche e del Passo dei Segni, che dominavano la Conca del Mandrone ed ostacolavano ogni nostra ulteriore avanzata in Val di Genova. Il I novembre 1918, quando ormai si era già delineata la nostra vittoria sul Monte Grappa e sul Piave, gli alpini dell'Adamello sferrarono l'assalto decisivo contro le ancora temibili fortificazioni del Tonale, aprendo la via verso il Passo della Mendola in modo da tagliare le vie di ritirata all'esercito sconfitto. 

La fine della guerra

Sulle tormentate distese di roccia e di ghiaccio, dopo tre anni e mezzo di durissima guerra, tornavano il silenzio e la pace. Il ricordo di queste vicende, come rilevò il capitano Nino Calvi, resta memorabile nella storia militare per il fatto che gli alpini e i loro avversari, costituiti per la prima volta in grandi unità organiche di sciatori e di rocciatori, affrontarono le incognite e gli incubi del ghiacciaio, combattendo ad altezze inaudite, in condizioni climatiche spaventose e in zone che prima erano percorse solo da rari e coraggiosi alpinisti. 

In questo quadro si svolse la «guerra bianca sull'Adamello» che presenta non solo una peculiare rilevanza sul piano militare, ma anche un insieme di vicende umane altamente significative. Essa fu un'impresa che consentì agli alpini e ai loro valorosi avversari di dare la piena misura di quello stile che doveva diventare, sempre e ovunque, una severa e ardimentosa lezione di vita, nella quale il cameratismo, il senso del dovere, l'agonismo sportivo e militare, la stima e il reciproco rispetto fra vinti e vincitori appartenenti allo stesso ceppo montanaro, sono segni di una profonda civiltà interiore, che noi, oggi, ricordiamo e ammiriamo con sincera commozione.

Ulteriori informazioni

Crediti

Fonte fotografia principale: parcoadamello.it

Ultimo aggiornamento
13 luglio 2021